Vogliamo riportare un articolo recensione del nostro disco di Andrea Mancini, da lui postato su facebook il 29 settembre 2017 ma troppo bello per non condividerlo anche qui. Grazie ancora Andrea!
VINCANTO: IL CANTO ROVESCIATO
di Andrea Mancini
E’ un repertorio di enorme valore, importante per il semplice motivo che è stato registrato, questo su cui si misura il gruppo dei Vincanto nel CD intitolato “Il canto rovesciato”, un disco che è possibile ammirare anche in forma di spettacolo.
Del gruppo fanno parte la sempre più intensa Ilaria Savini, una cantante che va crescendo e i due bravi Alessandro Cei e Simone Faraoni, ambedue impegnati sia con la voce che con numerosi altri strumenti, tra i quali predomina la chitarra per il primo, la fisarmonica per il secondo.
Il loro modo di cantare somiglia molto ad un percorso di “archeologia”, sono sempre scoperte, che potrebbero, a rigore, sembrare prive di interesse, ma che possono – per qualcuno – risvegliare, eccitare addirittura, la fantasia.
Sono poveri resti di edifici, sassi che alla maggior parte della gente non dicono niente. Resti, scarti, di un mondo di sofferenze, di amori modesti.
“Il canto rovesciato” sembra anche una specie di antologia, del lavoro che altri hanno fatto: Caterina Bueno, Rosa Balistreri, Sandra Mantovani, Cesare Bermani, Diego Carpitella, Roberto Leydi, Dodi Moscati, Alberto Maria Cirese. Sono questi i nomi che si susseguono nel bel CD dei Vincanto, quasi come omaggio allo straordinario lavoro di ricerca che questi studiosi e a volte esecutori hanno fatto per anni.
E ci sono nel “Canto rovesciato”, anche preziose registrazioni realizzate nelle Case di Riposo dell’empolese valdelsa, dove alcune ospiti narrano la loro gioventù; ad esempio prima del bellissimo stornello di mietitura “O rondinella che voli pel mare”, c’è la voce di Bruna Pampaloni (registrata da Simone Faraoni l’11 agosto 2015), che racconta come da giovane cantasse per la campagna: “non avevo paura, libera come una rondine”, a spiegare la canzone, ma forse anche l’intero CD.
Certo c’è la violenza, la sopraffazione, il sangue che fanno da padroni, ma ci sono anche l’amore puro e semplice, la bellezza della natura e poi l’orgoglio, la dignità, la voglia di vivere, che può permettere di rivolgersi a sant’Agata (come nella canzone della Balistreri) per invocarla di spegnere il sole, non per la processione o per il padrone, ma per proteggere i poveri braccianti giornalieri: i jurnatari.
Sono insomma canzoni particolari, “scritte con l’aratro”, come quella spagnola, “La plaza de mi pueblo” del 1936-39, introdotta dalle parole della “classe ovrera”, registrate a Madrid il primo maggio 2017 da Alessandro Cei, come a dire che queste canzoni a volte continuano ad avere un senso.
Il viaggio dei Vincanto, si sposta in Italia e all’estero, come loro stessi dicono, alla ricerca di “storie di molti uomini e donne coraggiosi che hanno lottato per rendere il luogo dove vivevano un posto dove si potesse vivere una vita più giusta e dignitosa”. Questa la motivazione prima, e si va dalla vita di tutti i giorni, spesso punteggiata da sfruttamento e violenza, a quelli che sono eventi più eccezionali, come la guerra e la resistenza.
I tempi naturalmente sono molto diversi, la distanza tra quando sono stati scritti questi canti e l’oggi è cresciuta ancora, ma questo repertorio potrebbe aspirare ad una riscoperta, le pietre possono ancora essere preziose. Come quando, a metà degli anni Sessanta, “Ci ragiono e canto” fu presentato al Festival di Spoleto, a cura di Fo, Coggiola, Bermani, lo spettacolo ebbe un successo davvero mondiale, se ancora di recente i gruppi che allora cantarono fanno parte di collane di ricerca a livello internazionale.
Certo, conosciamo le polemiche che nacquero allora, le storture di naso per un repertorio che evidentemente non sembrava o non era, completamente “popolare”, ma a noi piacciono il “gesto” e anche le “parole” dei Vincanto, che operano un tentativo di riscoperta, non hanno nostalgia del passato, lavorano nel presente.
Così come faceva quell’intellettuale “rovesciato” che si chiamava Gianni Bosio, che andava “a scuola dal popolo”.
Un libro postumo di Bosio, si intitola appunto “L’intellettuale rovesciato” (Edizioni Bella Ciao, Milano 1975) e racconta la necessità di una ricerca delle “forme di espressione e di organizzazione ‘spontanee’ nel mondo popolare e proletario”.
Possiamo certo capire, oggi più di ieri, chi ha contestato queste ricerche, capiamo quanto ci sia di “impuro” in questo mondo, ma sappiamo anche quale e quanto è stato il lavoro che è nato da libri come quello di Bosio.
Conosciamo la straordinaria attività dei canzonieri di base, del teatro popolare, fatto da studenti e operai, contadini e impiegati. Qualcosa di eccezionale, che varrebbe la pena di studiare e forse di provare a far risorgere.
Il lavoro dei Vincanto va anche in questo senso, basta guardare al valore “rivoluzionario” (che parola!) del loro impegno presso le Case di Riposo o in spettacoli splendidi come l’”Opera da tre soldi” di Brecht diretto da Henry Brown, regia di Rebecca Brown, portata un po’ in giro un paio d’estati e di gran lunga più interessante della ripresa che ne fece in quello stesso anno il Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Daniele Michieletto.
Insomma buon lavoro Ilaria, Simone, Alessandro: i Vincanto!